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Ci siamo! Siamo in Gennaio. E’ giunto il momento!U Puarcu
Prepariamo rumanialli e cati, scannaturi e gambialli, majillune, tribiti e quadare, spiti, curtialli e linchjturi e tutto quanto occorre per dare inizio a quella che per noi è una festa ma che, ahimé, per il protagonista è una condanna senza appello.
Eppure si tratta di un soggetto tutt’altro che cattivo anzi è così buono che di lui, come si dice, nulla si butta, niente va sprecato.
E sì, stiamo parlando proprio del maiale, di quella cara bestia di cui ci siamo presi cura per tutto l’anno, assicurandoci che non gli mancasse niente e che anzi abbiamo ipernutrito.
A fine du puarcuDi quell’amico fedele che non è passato giorno a cui non abbiamo fatto visita. Amico per il quale abbiamo trepidato se per caso abbiamo notato anche il più piccolo malessere e per il quale ci siamo precipitati a chiamare il veterinario allorquando abbiamo creduto di perderlo.
Ma ciò che è stato è stato e ora a ognuno il suo ruolo: noi carnefici e lui vittima designata.
E allora muniti di rumaniallu (cordicella) e catu ccu glianda (secchio con ghianda) forse per la prima e anche ultima volta da quando lo abbiamo rinchiuso dentro ‘u vagliu ( casupola angusta atta all’allevamento di maiali) lo tiriamo fuori e con l’inganno di un pasto che non raggiungerà mai lo portiamo sul luogo dell’esecuzione.

Quando ormai si renderà conto che per lui l’ora è giunta sarà troppo tardi.
A nulla varranno le urla strazianti che forse per un attimo ma uno soltanto, avranno impietosito chi lo ho allevato e coccolato per un anno intero.
L’esperto scannatore con tanto di scannaturu (coltellaccio) appunto, mentre altre cinque o sei persone lo tengono ben fermo e legato, infliggerà una unica e precisa coltellata all’altezza della giugulare causando la morte per dissanguamento.
majillaTimpagnu
Ma non pensiate che il sangue versato andrà perduto!

Tuttaltro, esso verrà raccolto in un catu (secchio) da una solerte massaia che mescolandolo continuamente per impedirne la coagulazione lo trasformerà in seguito, con l’aggiunta di alcuni ingredienti (noci, pinoli, vino cotto, buccia d’arancia, zucchero), in una prelibata nutella ante litteram, il cosiddetto sanguinaccio.
Intanto, finito di agonizzare, il povero malcapitato, verrà issato sul gambiallu (attrezzo di legno che nella forma ricorda un boomerang ma  Rumaniallu
Bidone
più è grosso più è grande) e una volta appeso per i tendini, verrà spaccato in due menzine (mezze parti) e privato delle viscere e della testa. Verrà poi pilato (epilato) delle ‘nzite (setole) che, raccolte, diventeranno pennelli o verranno usate dai calzolai a mo’ di ago per cucire il cuoio delle scarpe.
Cucchiara de frittuleA questo punto, dopo aver ripulito gli intestini che serviranno per fare salsicce e soppressate, il maiale verrà lasciato riposare fino a sera allorquando sarà sbasciatu (sezionato e spolpato) e approntato per la lavorazione che avverrà nei due o tre giorni seguenti.
Oggi queste scenari, questa ritualità è andata pressocchè perduta e i derivati della lavorazione li acquistiamo già finiti e quando pure il maiale e allevato in proprio, per la macellazione ci si rivolge ai moderni mattatoi, anche per ragioni di igiene pubblica e di sicurezza alimentare.
Un tempo il maiale rappresentava per le famiglie povere la quasi totalità dell’approvvigionamento di carne e nell’economia domestica serviva, nella infinita varietà dei prodotti di derivazione, come base della cucina per tutto l’arco dell’anno.
La festa della macellazione, perché questo era, una festa, coinvolgeva a giro parenti e amici e diventava occasione per riunirsi.
Aiutarsi a vicenda rinsaldava infatti vincoli di parentela ma anche di buon vicinato o di cumpariggiu (vincolo derivante da testimonianze matrimoniali, battesimi ecc.) il cosiddetto san Giuanni che per rimanere fruntale (cioè stimato e rinnovato anche di generazione in generazione) andava onorato in questa circostanza o con l’invito a Vilanza e Stratilupartecipare alla lavorazione o con l’invio a casa di logna, frittule (frattaglie), sanguinaccio ecc. All’amico che non ottemperava a quest’ obbligo era infatti dedicata una filastrocca per rimarcarne con arguzia l’ingratitudine e cioè:
Ammazzasti ‘u puarcu e te chiudisti
e dde l’amici tui ti ‘nde scordasti.
La lavorazione procedeva al chiuso di vecchie cucine annerite dal fumo degli antichi camini.

Ed è qui, in questo ambiente, che aneddoti, proverbi, racconti e tutto ciò che era tradizione orale veniva ricordata e trasmessa alle generazioni future che restavano in ascolto mentre apprendevano l’arte e i segreti della lavorazione.
La festa del maiale era la festa di tutti, adulti e bambini e soprattutto dei nonni dalla cui esperienza non si poteva prescindere. Al capostipite, infatti, era riservata una delle operazioni più importanti e delicate, cioè : reminare (rimestare) a quadara (pentolone) delle frittole. Era ed è questo un gesto di grande perizia, dai movimenti precisi e ripetuti da cui dipende la buona riuscita del prodotto finale. Questa operazione richiede grande pazienza in quanto costringe u capu frittularu a stare in piedi per una intera giornata, tanto occorre.

Stratiluall'aria de ceramili
La conclusione di questa festa era la frittulata.
Le frittule o frisuli (risimoglie come li chiamano anche a Cosenza) sono tutte le frattaglie e gli scarti (ossa, cotenna, cartilagini ecc) della lavorazione che messe a bollire nella quadara forniscono oltre ai gustosissimi frisuli il preziosissimo grasso, ingrediente essenziale per la cucina povera di un tempo, unica e insostituibile alternativa al costosissimo olio.
Nel grasso si conservavano le salcicce e le vrasciole (involtini con ripieno di aglio prezzemolo e grasso a cubetti), con il grasso si friggeva e si preparava il sugo ecc.
La tavolata che accompagnava l’uscita delle frittole era la più degna conclusione per una festa che coinvolgeva tutti i partecipanti con brindisi e grandi abbuffate.
all'aria de ceramiliall'aria de ceramili
Molte di queste tradizioni si rinnovano anche oggi ma sicuramente con spirito e significati molto diversi da quelli di una volta, avendo oggi perso il maiale quella sua funzione assolutamente imprescindibile nell’economia alimentare per diventare più che altro un gustoso e saporito diversivo nel variegato panorama dietetico moderno.
Ma i nostri avi si badi bene, consci del suo grande valore, per tutto il tempo, non dimenticavano mai di ringraziare Dio nè di decantare le grandi virtù di questo preziosissimo animale il quale potrà anche non essere il miglior amico dell’uomo ma di certo ne è il più buono e generoso, e restituisce moltiplicate tutte le cure che riceve nel pur breve arco della sua predestinata esistenza. Viva il maiale!

Piccolo glossario
Pungituru : sottile ferro appuntito usato per forare le salsicce durante il riempimento onde far uscire eventuali bolle d’aria che risulterebbero dannose durante l’essiccazione.
Cuariu : cotenna di maiale che veniva messa nelle frittole dopo essere stata privata di ogni setola per mezzo di uno spiedo arroventato
Spitu : spiedo
Matassaru : femore del maiale, spolpato della carne andava ad arricchire la frittolata.
Pettinissa : costata del maiale, vedi sopra.
Pala : scapola, vedi sopra.
Vujiulu : guanciale.
Panzarella : pancetta.
Suziu : gelatina.
Capeccuallu : capicollo.
Prisuttu : prosciutto.
Provaturu : prova, ossia piccola salsiccia realizzata per saggiarne la stagionatura.
Majillune : contenitore in legno dove si metteva e si impastava la carne macinata di salsicce e soppressate.
Majilla :contenitore in legno più piccolo un tempo usato esclusivamente per l’impasto del pane, mentre adesso viene utilizzato anche per il maiale.

Testo di Claudio Perri

Foto concesse dall'utente EzioMancuso detto Ciccio

 

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